18 Set LA CODATORIALITÀ E LE RETI DI IMPRESA NELLA RECENTE GIURISPRUDENZA E DOTTRINA
Con il termine codatorialità si indica l’utilizzazione della prestazione lavorativa da parte di uno o più dipendenti a favore di uno o più datori di lavoro. Questo istituto è disciplinato dalle norme sulle reti di impresa, come sarà meglio argomentato in seguito. L’espressione “rete di imprese” non identifica una fattispecie dotata di rilevanza normativa alla quale conseguano specifici effetti giuridici disciplinati dal legislatore, ma si intende piuttosto una formula utilizzata per catalogare una gamma eterogenea di forme organizzative1. Il concetto di rete di imprese identifica dunque quella trama di relazioni tendenzialmente stabili tra varie imprese che rimangono giuridicamente distinte.
Con la sentenza n. 267 del 09.01.2019, la Cassazione ha stabilito che, nel caso di codatorialità da parte di più imprese facenti parte del medesimo gruppo, i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare all’esito di una procedura di licenziamento collettivo devono essere applicati anche ai dipendenti di tutte le realtà aziendali coinvolte.
In presenza di gruppi d’aziende genuini, ma fortemente integrati, è giuridicamente possibile individuare l’esistenza di un centro unico di imputazione dei rapporti di lavoro, rendendo così solidale l’obbligazione datoriale.
In tali circostanze, in caso di utilizzazione promiscua della forza lavoro da parte delle diverse società del gruppo, queste possono essere considerate datori di lavoro del medesimo dipendente, secondo lo schema della obbligazione soggettivamente complessa.
Per la citata pronuncia, in commento, la codatorialità nel gruppo di imprese presuppone l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l’interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali.
Tutto ciò premesso – visto che, nel caso di specie, il lavoratore aveva prestato indistintamente la propria attività in favore di tutte le società del gruppo e non solo di quella che formalmente risultava sua datrice – la Suprema Corte dichiara illegittimo il licenziamento al medesimo irrogato all’esito di una procedura collettiva, dovendosi estendere la scelta dei prestatori da espellere alla platea di tutti i dipendenti delle aziende componenti il gruppo.
Con l’art. 30, comma 4-ter del D.lgs. n. 276/2003 viene stabilito che “tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa (…) è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”. Si tratta, dunque, di una situazione per la quale, oltre al datore di lavoro originario, ci sono altri soggetti legittimati ad esercitare, insieme a questi, il potere direttivo e di conformazione sul personale “condiviso”2. Fra gli strumenti che possono essere utilizzati per soddisfare l’esigenza della destinazione della prestazione lavorativa alla soddisfazione delle esigenze organizzative della rete, ricopre dunque una centrale posizione il contratto di lavoro pluridatoriale, stipulato tra lavoratore e imprenditori che abbiano previamente stipulato un contratto di rete3.
In quest’ultimo andranno individuate le regole di “ingaggio”, ossia viene stabilito chi ha il potere di richiedere la prestazione dei dipendenti delle altre imprese della rete, chi controlla e chi è responsabile per le eventuali violazioni. Pertanto, occorre stilare un regolamento che contenga varie informazioni e adempimenti, tra cui:
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come viene trasferito o condiviso il potere direttivo;
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come organizzare un costante flusso di informazioni costante tra imprese in rete: orari, comportamenti disciplinarmente rilevanti, mansioni, eventuali indennità, trasferte ecc.;
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come valutare i rischi e come prevenirli;
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come individuare corrette metodologie per informare il lavoratore.
La modalità di lavoro pluridatoriale è potenzialmente in grado di risolvere molti problemi riguardanti il coordinamento della prestazione lavorativa per il raggiungimento degli obiettivi stipulati in contratto di rete, come a esempio la possibilità di potenziare la prestazione, sia ai fini del coordinamento della rete, sia come risorsa utilizzabile dalla rete per il progetto. La fattispecie dell’assunzione congiunta consente di dotare il manager del potere di gestione delle organizzazioni delle imprese, di impartire direttive alle rispettive strutture e di coordinare le attività4, e il lavoratore assunto congiuntamente stimola l’incentivo a investire nel campo della formazione, e di ripartire i costi tra le varie parti datoriali.
Mediante l’analisi di questi istituti la dottrina ha più volte affrontato il problema della corretta imputazione del rapporto di lavoro, affermando come in determinati casi e a precise condizioni, il lavoratore debba ritenersi dipendente non soltanto del datore di lavoro che l’ha formalmente assunto, ma anche dalle altre parti datoriali che in qualche modo traggano vantaggio dalla sua prestazione5. I problemi che vengono in essere, riguardano il contenuto dell’obbligo di obbedienza del lavoratore qualora gli vengano impartite direttive differenti dai vari datori i lavoro. Sono state dunque prospettate varie aree di intervento, tra cui quella del regime delle responsabilità dei codatori nei riguardi del lavoratore “condiviso”6. La disciplina non è chiara sulla questione, e pare si possa presumere che siccome il lavoratore non si assume la responsabilità del risultato produttivo dell’organizzazione nel quale è inserito, essendo questi obbligato solo a svolgere le sue mansioni correttamente e in maniera diligente, egli sarà in ogni caso adempiente agli obblighi contrattuali laddove abbia eseguito una delle direttive impartite da una delle sue parti datoriali, anche se in tal contesto andasse a disattendere il contrastante comando proveniente da uno degli altri7.
Il datore di lavoro, dal canto suo, rappresenta la parte che gestisce un’organizzazione produttiva caratterizzata dal requisito dell’ autonomia. Non è però sufficiente che il datore di lavoro governi tale unità produttiva in funzione della realizzazione di un determinato risultato, ma serve che si assuma il rischio di impresa, ossia che le conseguenze economiche della gestione dell’organizzazione ricadano nel suo alveo delle responsabilità8.
La costituzione di un rapporto pluritatoriale mette in evidenza anche il problema della identificazione della regolazione collettiva applicabile, e quello del corretto inquadramento previdenziale qualora gli siano applicati contratti collettivi differenti, o questi svolga mansioni appartenenti a diversi settori. Nel primo caso, il problema è aggirabile individuando il contratto collettivo applicabile proprio all’interno del contratto di rete9. La seconda, invece, pone maggiori problemi di inquadramento; c’è una parte dottrinale che propone di fare riferimento al settore di attività in cui il lavoratore sia impiegato in maniera prevalente, anche se non vi è ancora una disciplina certa sul tema10.
Ai fini della corretta individuazione dell’imputazione del rapporto, dunque, è necessario guardare non solo il soggetto che esercita i poteri direttivi, ma la complessiva organizzazione ove è inserito il lavoratore, al fine di attribuire la titolarità del rapporto al soggetto che dirige quella organizzazione11. I gruppi di imprese costituiscono la modalità organizzativa nella quale è sovente l’eventualità di creare rapporti di interdipendenza tra organizzazioni produttive, per questo ci si domanda quali siano le condizioni sussistenti le quali possa dirsi che alla pluralità formale dei soggetti componenti il gruppo corrisponde un unico centro di imputazione per quanto attiene alle mansioni e alle responsabilità12.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è intervenuto con Circ. Min. Lavoro n. 35/2013 puntualizzando che: “il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete.” Quanto al piano delle responsabilità, la circolare rimetteva alla necessaria verifica dei contenuti del contratto di rete, stante l’impossibilità di configurare una solidarietà “automatica” tra i codatori partecipanti. In riferimento ai gruppi di imprese, la dottrina si è espressa indicando che l’esistenza di un rapporto pluridatoriale sussiste ogni qualvolta la prestazione dedotta in contratto con una società sia utilizzata cumulativamente in modo indistinto e indistinguibile da un’altra società dello stesso gruppo13; si tratterebbe dunque di un utilizzo promiscuo del lavoratore.
La Cassazione a Sezioni Unite 10424 del 7 marzo 2018 si è espressa nel senso che «deve essere esclusa la configurabilità di due diversi datori di lavoro dovendo considerarsi come parte datoriale solo colui su cui in concreto fa carico il rischio economico dell’impresa nonché l’organizzazione produttiva nella quale è di fatto inserito con carattere di subordinazione il lavoratore, e l’interesse soddisfatto in concreto dalle prestazioni di quest’ultimo, con la conseguenza che chi utilizza dette prestazioni deve adempiere tutte le obbligazioni a qualsiasi titolo nascenti dal rapporti di lavoro»14.
Altra dottrina afferma che invece l’art. 2094 c.c. non ponga problemi di compatibilità con l’istituto della codatorialità, in quanto nulla escluderebbe che l’esercizio del potere direttivo e la gestione dell’organizzazione produttiva nella quale è inserito il lavoratore facciano capo a due o più imprenditori anziché uno solo15.
Operando dei parallelismi tra i dettati legislativi dell’art. 2094 c.c. e il d. lgs. 276/2003, dovendo il rapporto subordinato avere carattere necessariamente bilaterale stante la lettera della legge, questo non esclude che il lavoratore possa essere contemporaneamente impiegato nell’organizzazione di una pluralità di datori di lavoro, rendendolo automaticamente parte di tanti rapporti quante sono le imprese che fanno parte della rete, e abbiano potere direttivo sul lavoratore.
Una sentenza della Corte d’Appello di Roma16ha affermato il principio secondo il quale qualora lo stesso dipendente prestasse servizio contemporaneamente a diversi datori di lavoro e l’attività fosse svolta in maniera indifferenziata, senza la possibilità di delineare i confini tra l’una e l’altra, allora tutti i fruitori dell’attività del lavoratore si devono considerare solidalmente responsabili ai sensi dell’art. 1294 c.c.. Ecco che emerge il tema della responsabilità solidale di tutti i datori di lavoro per le obbligazioni da essi derivanti, anche se formalmente imputabili all’iniziativa di uno soltanto di loro.
Inoltre, la sentenza n. 254/2017, la Corte Costituzionale è intervenuta sull’ambito applicativo del citato art. 29, superando le questioni poste dal Giudice remittente attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata della norma basata sulla ratio della responsabilità solidale; la Corte, infatti, chiarisce che la ratio della norma risiede nella necessità di “evitare il rischio che i meccanismi di decentramento – e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione – vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale” e pertanto “non giustifica una esclusione (che si porrebbe, altrimenti, in contrasto con il precetto dell’art. 3 Cost.) della predisposta garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento”.
Tra tali forme di decentramento rientra il contratto di rete.
In altri termini, il rapporto di lavoro va ascritto “in capo a più soggetti giuridici formalmente distinti e, per tale ragione, coobbligati in solido nei confronti della lavoratrice (ai sensi dell’art. 1294 c.c.), atteso che è valido il principio secondo cui il vero datore di lavoro è il soggetto che effettivamente utilizza le prestazioni lavorative, anche se rese da lavoratore formalmente dipendente da altro datore”.
Anche per quanto attiene al fenomeno dei gruppi di imprese, non è sempre facile stabilire se al di là della distinta personalità giuridica, sussista una separazione tra le diverse società che appartengano allo stesso gruppo, oppure sia configurabile un’unicità d’impresa tra queste: «In particolare, la giurisprudenza, nel definire quelle situazioni nelle quali esiste un interesse contrapposto delle parti in causa riguardo alla titolarità del rapporto di lavoro, ha dato rilievo ad alcuni indici, in quanto rilevatori della sussistenza o meno di un unico centro d’imputazione nell’ambito di un gruppo d’imprese. Quindi si è ritenuto che “un gruppo di società realizza un’unicità di impresa – con conseguente esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro – quando il frazionamento di un’unica attività tra più soggetti economicamente collegati è simulato e posto in essere in frode alla legge (…)”17»
Il fenomeno della simulazione va accertato mediante osservazione dell’attività di ogni impresa, dovendo rilevare determinati requisiti, riassumibili come segue:
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unicità della struttura organizzativa e produttiva: presuppone che le società svolgano la loro attività nei medesimi stabilimenti; l’utilizzo promiscuo delle medesime attrezzature; l’identità dei componenti dell’organo amministrativo; coincidenza di chi impartisce le disposizioni per lo svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti appartenenti alle società del gruppo;
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integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune: il fatto che le società abbiano i medesimi clienti e/o che ai clienti siano offerti pacchetti integrati di servizi forniti dalle diverse società;
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coordinamento tecnico e amministrativo – finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo, che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;
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utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori18.
Profili dubbiosi sorgono quando ci si domanda se qualsiasi contratto di rete possa consentire la disciplina della codatorialità, ancorchè privo di specifica individuazione di organi di governance.
Seguendo la lettera della legge, sembrerebbe che alle imprese che decidono di aggregarsi sia permesso di condividere le proprie risorse umane, creando una sottospecie di “fattore comune”, incrementando la tutela occupazionale e favorendo una crescita degli assetti imprenditoriali.
Non si tratterebbe dunque di coassunzione, bensì appunto di codatorialità, la quale espone a esigenze di chiarezza sulle regole di funzionamento, per meglio specificare i limiti di esercizio dei poteri datoriali, regole che vanno specificate all’interno del contratto di rete stesso, come già esposto precedentemente.
Con circolare n. 7/2018 del Ministero del lavoro, sono di nuovo analizzate alcune fattispecie di somministrazione e distacco illeciti, forme utilizzate dalle aziende per trarre vantaggi economici a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori. Viene ribadita, inoltre, la necessità che, affinchè gli effetti della “codatorialità” dispieghino effetti nei confronti di terzi, è necessario che si proceda preventivamente alla iscrizione nel registro delle imprese del contratto di rete: «Nel caso in cui il contratto i rete preveda la codatorialità nei confronti di tutti o solo alcuni dei lavoratori dipendenti di ciascuna impresa, tale circostanza deve risultare dallo stesso contratto, così come deve risultare dal contratto la “platea” dei lavoratori che vengano, in questo modo, messi “a fattor comune” al fine di collaborare agli obiettivi comuni.19»
Va precisato che le eventuali omissioni espongono tutte le parti datoriali a responsabilità, in quanto firmatari del contratto di rete, e trovando dunque applicazione il principio generale della responsabilità solidale (art. 29, co. 2, D.lgs 376/2003).
Per concludere, fino a pochi anni fa nessuna legge menzionava il fenomeno della codatorialità, solo con l’ art. 30, comma 4-ter, D. Lgs. n. 276/2003, tale fattispecie appare per la prima volta in un testo normativo proprio con riferimento alle reti di impresa, permettendo, assieme al distacco, di ampliare le possibilità di accrescimento della capacità innovativa e competitiva di queste, nonché la possibilità di attuare programmi di formazione comuni per i dipendenti, la creazione di veri e propri “mercati interni del lavoro” e maggiore elasticità, mediante le reti, nella divisione del lavoro.
Avv. Giuseppe Colucci
Studio legale Lavoro Lex
Cultore di diritto del lavoro presso l’Università di Modena
www.lavorolex.it
www.labornetwork.it
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5ALVINO I., Il lavoro nelle reti di imprese:profili giuridici, cit, p. 59; Sul tema vedi anche G. DE SIMONE, I gruppi di imprese, in PERSIANI M.- CARINCI F. (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, Vol. VI, Padova, Cedam, 2012, p. 1509 e ss.
12A tal proposito si cita una sentenza della Corte di Cassazione, la quale ha sostenuto che il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore e una di esse, debbano estendersi anche all’altra società, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un centro unico di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività tra i vari soggetti del collegamento economico/funzionale, e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l’esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti.